responsabilità degli enti dipendente da reato

La responsabilità degli enti dipendente da reato e l’impresa individuale.

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responsabilità degli enti dipendente da reato: “Societas delinquere non potest”. Con questo brocardo latino si è soliti affermare che gli enti, costituendo soggetti “artificiali”, la cui esistenza è consentita dall’intervento e dall’attività di persone fisiche, non potrebbero rendersi responsabili di un crimine in quanto difetterebbe il coefficiente psicologico necessario ai sensi dell’art. 27 della Costituzione. Senonchè, il crescente fenomeno della criminalità societaria, ossia dei reati legati all’economia, ha indotto il Legislatore ha implementare l’efficacia deterrente dei reati espressamente previsti per la cui sussumibilità è richiesta la responsabilità personale delle sole persone fisiche. Da ciò, l’introduzione del D. lgs. 8 Giugno 2001 n. 231

Questione interpretativa di grande attualità per le Start Up e le cui ricadute pratiche sono di evidente importanza ha riguardato la materia commerciale e, in particolare, la possibilità di applicare le norme del decreto n. 231 del 2001 all’impresa individuale, considerandola come soggetto distinto rispetto alla persona fisica dell’imprenditore.

A sostegno della tesi negativa, sostenuta dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 18941 del 2004, si osserva che né l’art. 1 del decreto legislativo n. 231 del 2001, né tantomeno la legge delega n. 300 del 2000, prevedono l’impresa individuale tra i destinatari della normativa esame, con la conseguenza che tale interpretazione finirebbe per configurare un’ipotesi di analogia in malam partem.

Inoltre si evidenzia che la disciplina dei requisiti soggettivi oggettivi della responsabilità dell’ente presuppone un rapporto di alterità tra reo ed ente, che verrebbe a mancare in caso di impresa individuale infine si ritienu che, estendendo la normativa del decreto n. 231 all’impresa individuale si finirebbe per punire due volte l’imprenditore per il medesimo fatto con possibile violazione del divieto di bis in idem.

A conclusioni opposte è invece pervenuta la Corte di Cassazione nel 2011. con sentenza n. 15657, in cui i giudici di legittimità hanno sostenuto applicabilità del decreto n. 231 anche alle imprese individuali affermando che l’impresa in sè debba essere considerata un autonomo soggetto rispetto all’imprenditore, che una diversa interpretazione finirebbe col creare una lacuna normativa e, nel contempo, una disparità di trattamento tra l’imprenditore individuale e il socio unico di una società di capitali, a fronte della sola forma utilizzata per l’esercizio dell’attività di impresa. La Corte ha dunque sostenuto che l’impresa individuale rientri implicitamente tra i soggetti di cui all’art. 1, comma secondo, del decreto.

La soluzione positiva accolta nel 2011 è stata tuttavia disattesa nel 2012 con sentenza n. 30085, che ha aderito all’opposto orientamento, negativo, richiamando espressamente la già menzionata decisione del 2004 e precisando che la disciplina del decreto n. 231 opera con esclusivo riferimento “ai soli soggetti” collettivi.

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Autore: Andrea D'Onghia
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