Premessa:
L’art. 25, comma 4 del D.L n. 179/2012 disciplina una particolare categoria di Start Up, le c.d. start up innovative a vocazione sociale.
Tendenzialmente, al concetto di tecnologia viene quasi sempre associato un carattere di impersonalità, di indifferenza rispetto alle ripercussioni prodotte sugli individui e sulla collettività.
Uno degli obiettivi del Legislatore nel favorire il riconoscimento delle suddette società è quello di scalfire questa stratificazione culturale superata e mettere in risalto il fatto che anche le nuove imprese ad alto contenuto tecnologico possono impattare sul benessere della collettività e, allo stesso tempo, che la produzione di impatto sociale non è appannaggio esclusivo delle imprese sociali.
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I settori di operatività delle Start up innovative a vocazione sociale:
Oltre a dover soddisfare i requisiti generali della disciplina, devono obbligatoriamente operare in via esclusiva in undici determinati settori come indicati dalla c.d. disciplina dell’impresa sociale:
- Assistenza sociale, ai sensi della legge 8 novembre 2000 n. 328, in materia di sistema integrato di interventi e servizi sociali;
- Assistenza sanitaria, per l’erogazione delle prestazioni di cui al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 febbraio 2001, in materia di livelli essenziali di assistenza;
- Assistenza sociosanitaria, ai sensi del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 febbraio 2001, in materia di indirizzo e coordinamento per le prestazioni sociosanitarie;
- Educazione, istruzione e formazione, ai sensi della legge 28 marzo 2003 n. 53, in materia di definizione delle norme generali sull’istruzione e sui livelli essenziali delle prestazioni per l’istruzione e la formazione professionale;
- Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ai sensi della legge 15 dicembre 2004 n. 308, in materia di ambiente e misure di diretta applicazione;
- Valorizzazione del patrimonio culturale, ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42;
- Turismo sociale, di cui all’articolo 7, c. 10, della legge 29 marzo 2001 n. 135, recante riforma della legislazione nazionale del turismo;
- Formazione universitaria e post-universitaria;
- Ricerca ed erogazione di servizi culturali;
- Formazione extrascolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica e al successo scolastico e formativo;
- Servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti in misura superiore al 70% da organizzazioni che esercitano un’impresa sociale.
Dal dettato normativo si nota che la Norma non richiede la preventiva iscrizione dell’impresa nella sezione speciale del registro delle imprese, dedicata alle imprese sociali.
Tuttavia, nulla osta alla compatibilità di tale iscrizione con quella delle Start up innovative a vocazione sociale.
Il confronto fra la Start Up a vocazione sociale e l’impresa sociale:
Da quanto previsto nella norma, si evince che la cosiddetta Start Up a vocazione sociale è individuata nell’impresa sociale di cui al D. Lgs. 155/2006.
L’impresa sociale può dirsi parte dello strumentario giuridico degli operatori del Terzo Settore Questa è una particolare figura che riproduce gli elementi tipici dell’impresa tradizionale e si caratterizza per la finalità di natura sociale perseguita e dei settori di operatività tassativamente indicati.
Possono quindi acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del Codice Civile, che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale; infatti, l’art.1, in combinato disposto con l’art. 3, deroga alla regola generale dell’art. 2247 c.c. e ammette la possibilità che la società sia utilizzata per conseguire un fine di natura ideale.
L’attività principale:
Con l’espressione “attività principale”, si considera l’attività per la quale i relativi ricavi sono superiori al 70% dei ricavi complessivi dell’organismo che esercita l’impresa sociale.
A prescindere dallo svolgimento dell’attività di impresa nei settori citati all’art. 2 c. 1 D. Lgs. n. 155/2006, è possibile acquisire la qualifica di impresa sociale da parte delle organizzazioni che esercitino una qualsiasi altra attività d’impresa purché finalizzata all’inserimento lavorativo di soggetti, come i lavoratori svantaggiati e quelli disabili.
Questi devono essere in misura non inferiore al 30% dei lavoratori impiegati a qualunque titolo nell’impresa; tale stato di fatto deve essere attestato in conformità alla normativa vigente.
I requisiti:
L’impresa in esame deve, inoltre, possedere i seguenti requisiti:
- avere per oggetto lo svolgimento di attività di utilità sociale;
- essere costituita senza fine di lucro soggettivo;
- rispettare, in caso di aggregazione, la disciplina dei gruppi di imprese sociali.
I casi ostativi:
Ci sono dei casi ostativi per assumere la qualifica di impresa sociale e sono:
- gli enti pubblici di cui all’art. 1 c. 2 del D.lgs. n. 165 del 30 marzo 2001;
- le organizzazioni i cui statuti limitino l’erogazione di beni e servizi in favore dei soli soci, associati o partecipi;
- gli imprenditori individuali.
L’organizzazione, che esercita un’impresa sociale, deve destinare gli utili e gli avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio.
La distribuzione degli utili:
A tale fine è vietata la distribuzione, anche in forma indiretta, di utili e avanzi di gestione, comunque denominati, nonché fondi e riserve in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori.
L’utilità e l’interesse nell’introduzione delle Start up innovative a vocazione sociale:
L’introduzione delle cosiddette Start Up innovative a vocazione sociale rappresenta un aspetto di grande interesse per le società che operano in via esclusiva nei settori indicati all’art. 2, c. 1 del D.lgs. n. 155/2006 e l’accostamento delle due figure non costituisce una novità.
È lo stesso Legislatore, infatti, che incentiva la nascita di imprese che, oltre a possedere le caratteristiche delle Start Up innovative, operino nei settori di attività tipici delle imprese sociali.
Le Start Up innovative a vocazione sociale, infatti, scambiano beni e servizi non solo ad alto valore tecnologico ma anche di utilità sociale, caratteristica questa che ne evidenzia la stretta connessione con il mondo dell’imprenditoria sociale.
Nonostante ciò, le suddette società non sono annoverabili tra i soggetti di terzo settore in quanto la loro natura resta quelle di ente lucrativo.
L’ambito di intervento:
Emerge, chiaramente, come il citato Decreto 155/2006 venga richiamato al solo fine di delimitare l’ambito di intervento e, di conseguenza, qualifica la “socialità” dell’attività posta in essere della nuova impresa, senza attingere in alcun modo alle disposizioni in esso contenute.
Anche il limite di non distribuzione di utili, che il legislatore impone loro, non è sufficiente a trasformarle in enti non profit, perché è limitato nel tempo come per le Start Up ordinarie.
Del resto, scopo di questa limitazione è assicurare che le agevolazioni riconosciute alle Start Up innovative a vocazione sociale siano destinate a consolidare l’investimento nella fase iniziale di attività, e non “disperse” a vantaggio immediato e diretto dei soci.
Le differenze fra Start up innovative a vocazione sociale e imprese sociali:
Parlare di Start Up innovativa a vocazione sociale non equivale, quindi, a parlare di Start Up innovativa impresa sociale:
Quest’ultima, oltre a dover operare nei settori elencati dal D.Lgs. 155/2006, deve rispettare anche tutti gli altri requisiti previsti dalla legge; solo così acquista a pieno titolo la qualifica di impresa sociale e dunque di ente non profit.
Il divieto di ripartizione di utili per l’impresa sociale, infatti, è un obbligo “permanente”, essendo addirittura espressamente previsto l’obbligo di devolvere il proprio patrimonio in caso di perdita della natura non lucrativa.
Le modifiche del Decreto Crescita Bis:
Il Decreto Crescita bis ha impresso un’accelerazione rilevante all’obbligo di non distribuzione degli utili, considerato che il legislatore si spinge a qualificare, come “sociali”, enti con un vincolo di non distribuzione degli utili solo temporaneo prevedendo, inoltre, agevolazioni fiscali a favore di chi investe nelle Start Up innovative a vocazione sociale, addirittura maggiori rispetto a quelle previste per le Start Up ordinarie.
Il Decreto, in esame, affronta (e in maniera molto chiara) le due questioni nodali che affliggono le imprese sociali ex lege e cioè:
- l’impossibilità di distribuire utili;
- la mancanza di agevolazioni fiscali;
La Norma è sicuramente migliorabile e prevedere un vincolo di distribuzione degli utili temporaneo, lasciando all’impresa la facoltà di determinare, trascorso tale periodo, la percentuale degli utili distribuibili, potrebbe forse generare qualche distorsione del meccanismo.
L’introduzione delle Start Up innovative a vocazione sociale è utile a comprendere, come sia possibile trovare soluzioni intermedie che possano coniugare innovazione e sostenibilità economica, attività di impresa ed interesse collettivo.
Ricapitolando:
Per costituire, quindi, una Start Up innovativa impresa sociale è necessario che lo statuto dell’ente rispetti contemporaneamente i requisiti dettati dall’art. 25 del D.L. 179/2012 e quelli del D.lgs. 155/06:
La società dovrà essere iscritta al registro imprese sia nel registro speciale delle Start Up innovative sia nella sezione speciale delle imprese sociali.
Il MISE predispone una nuova procedura strutturata per il riconoscimento delle Start Up innovative a vocazione sociale, ritenendo che sia necessario assicurare che possano beneficiare di un livello di certezza adeguato sulla presenza o meno di questo status speciale.
Per questo, il Ministero ha predisposto una guida dove individua sia dei Codici Ateco 2007 “consigliati” sia un esempio di struttura di relazione da presentare in fase di iscrizione con set di indicatori per superare la sola classificazione statistica che, a volte, può sembrare fuorviante.
Infatti, nonostante ciò, per facilitare l’attività di controllo da parte delle autorità preposte, si suggerisce di optare, al momento dell’iscrizione della nuova impresa, per uno o più codici Ateco tra quelli indicati all’Allegato con cui vi è una connessione, anche se poi successivamente afferma che il sistema di riconoscimento delle suddette società non è fondato esclusivamente sulla corrispondenza con la lista codici Ateco, come avviene, (come detto precedentemente), nel caso delle Start Up che operano in ambito energetico: Infatti, spesso, operano in modo trasversale, generando attività ibride che riguardano diversi settori e sfuggono a classificazioni rigide.
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In conclusione:
Pertanto, in fase di iscrizione devono indicare uno dei codici Ateco 2007 individuati dal MISE a vocazione sociale e, in aggiunta al possesso degli altri requisiti obbligatori e facoltativi, autocertificare di:
- Operare in via esclusiva in uno o più settori elencati all’art.2 comma 1 del Decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155;
- I settori nell’apposito codice 034 della modulistica del Registro delle Imprese;
- Realizzare, operando in tale/i settori, una finalità d’interesse generale;
- Impegnarsi a dare evidenza dell’impatto sociale prodotto.
L’impegno rappresenta un adempimento obbligatorio, e si sostanzia nella redazione di un “Documento di descrizione di impatto sociale” da compilare secondo le indicazioni fornite dal MISE.
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